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In questi giorni siamo tutti chiamati a confrontarci e, in certo modo, a riconciliarci profondamente con la nostra umanità. Perlopiù, almeno nella nostra sensibilità e cultura occidentale, quando facciamo ricorso a questo termine, "umanità", siamo soliti farlo in modo assai solenne e talvolta presuntuoso. Evochiamo questa preziosa parola, in cui ci riconosciamo, per distinguerci dalle altre creature viventi, nel senso di una eccellenza che diamo per scontata e per acquisita.
L'esperienza così difficile di dover far fronte a una pandemia come quella del Coronavirus si sta rivelando uno choc quasi assordante: non pensavamo di essere anche noi vulnerabili e così tremendamente fragili. Ci eravamo convinti di essere una porzione dell'umanità che, a costo di sacrifici e di intraprendenze mirabili, si era guadagnata il privilegio di una sostanziale e durevole immunità dalla paura e dal senso così umano di insicurezza.
Eravamo così fieri e pieni di noi stessi da arrivare a pensare persino che gli altri - i popoli più poveri e svantaggiati - in realtà semplicemente raccogliessero il frutto della loro pusillanimità. Un modo disonesto per sentirci in dovere di negare loro il diritto a sedere al banchetto della nostra felicità. La pandemia ha cambiato tutto in un attimo. Abbiamo cercato di rimandare questo click il più possibile ma, oramai, pur con un'iniziale resistenza, ci siamo adeguati più o meno serenamente o con malcelato panico.
Il rallentamento del nostro ritmo consueto può essere un'occasione per guadagnare in profondità, per amplificare la nostra modalità di vivere le realtà, in verità così ampie e variegate della nostra vita. Ciò che sta ora accadendo non può certo lasciare insensibili. Dobbiamo scegliere di guadagnare in profondità. È questo l'unico modo per raggiungere le periferie talora così poco frequentate della nostra personalità, perché tutto sia più luminoso e sereno.
Abbiamo l'occasione di ritrovare quell'armonia di cui portiamo nel cuore non solo l'insopprimibile nostalgia, ma pure l'alfabeto necessario per narrarla e trasmetterla, soprattutto nei momenti più difficili e gravi.