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Scarciafratta è una Macondo d'Abruzzo. Inerpicata tra i crinali dell'Appennino, è un teatro di fantasmi e di visioni. Un terribile terremoto, la Cosa Brutta, l'ha svuotata. Le case sono ridotte a pietre che rotolano e si sfarinano, ma continuano a parlare. Sulla Rocca resiste per anni soltanto un uomo, Mengo, seduto su un uscio sotto un cencio di luna insieme a Sciambricò, un cane pastore di quindici anni dagli occhi chiari.
Scavando tra le macerie della scuola ha trovato i quaderni dei bambini, e anche un registro dell'Ufficio anagrafe che un impiegato « sfastognato di timbri a bollo tondo e di certificati » aveva riempito di nomi, date, nascite, morti e sposalizi, di tutte le storie perdute del paese. Alla fine della sua vita, per « ridare voce a quelli sommersi dalla morte », Mengo le trascriverà una per una, a Villa Adriatica, la casa di riposo dove viene ricoverato.
Fino all'alba del 21 luglio 1969, quando Neil Armstrong e Edwin Aldrin sbarcano sulla luna, e lui termina di scrivere l'ultima lettera. Proseguendo lungo il sentiero inaugurato da Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio, in questo romanzo corale Remo Rapino continua a raccontarci tra risa e lacrime l'epopea degli ultimi, degli « spasulati » e dei folli della sua regione, e a restituire la dignità di un nome a chi è stato derubato anche della memoria.