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E' giustamente definita questa l'era della comunicazione. Il potere mediatico pervade ogni sfera del quotidiano, tanto che il suo attuale fatturato è paragonabile a quello dell'industria siderurgica nel belligerante XIX secolo. Tuttavia, paradossalmente, in presenza di tale copiosa offerta, forse proprio a causa di essa, la qualità dell'informazione risulta sensibilmente abbassata, condizionata da pericolose degenerazioni.
Partendo dai numerosi interrogativi che emergono da questa crisi epocale e dalle riflessioni poste da alcuni intellettuali sull'attuale inutilità dell'informazione in Italia, l'Autore propone una possibile alternativa nell'interpretazione del ruolo del giornalista, orientata ad alimentare l'armonia sociale e la solidarietà. Ripercorrendo le tappe fondamentali del cammino della comunicazione e ponendo attenzione alle sue strutturali ambiguità, acuite dalle contemporanee trasformazioni tecnologiche, l'opzione proposta mira altresì, decostruendo gli attuali convincimenti, a non costringere l'informazione all'inutile ricerca idealizzante di una verità assoluta o alla mera commercializzazione di notizie, ma a indurla a esprimere il suo autentico e intrinseco valore etico e formativo.