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Capire come il cervello produce la coscienza è una delle grandi sfide delle neuroscienze, della biologia e della filosofia contemporanee, un territorio ancora inesplorato e apparentemente impenetrabile. Dall'Inghilterra arriva oggi "L'errore di Galileo", il libro-manifesto che porta per la prima volta all'attenzione del grande pubblico una tesi che da anni circola nella comunità scientifica e filosofica: la scienza non sarà in grado di integrare la coscienza nel proprio quadro teorico fin quando non si lascerà alle spalle quello che Philip Goff chiama provocatoriamente l'errore di Galileo, « consistito nel volerci convincere ad adottare una teoria della natura che riteneva la coscienza un fatto essenzialmente e inevitabilmente misterioso ».
Come superare allora il rigido dualismo del fisico pisano, che vede gli oggetti fisici da una parte, con le loro proprietà matematiche misurabili, e le menti incorporee dotate di coscienza dall'altra? Un punto di svolta, sostiene il filosofo della Durham University, è cambiare approccio: forse la coscienza non è un "qualcosa" di indefinito prodotto dal cervello dell'uomo, bensì una qualità inerente a tutta la materia.