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Questo libro è una scommessa, è una specie di corda tesa tra due momenti-monumenti diversi della nostra storia moderna, cheabbiamo celebrato e celebreremo di recente, ovvero il Trattato di Roma, del 1957, e la Commune de Paris, del 1871: è un filo quasi invisibile, allungabile, su cui l'autore, come un saltimbanco, cerca di camminare avanti e indietro, recuperando un certo numero di corrispondenze immaginarie e ideali tra la Comune di Parigi e l'Europa della Comunità.
Sono briciole di immagini e di idee che provano a "inventare" - tra noticine d'utopia e sassolini nelle scarpe - un ritorno della Commune. Detto questo, non è il solito libro da anniversari, bucati o anticipati peraltro: è il libro di un italiano all'estero che è deluso dall'Europa della Comunità - una specie di madre senza figli e senza futuro, sempre incinta di popoli che vuole "sterilizzati" o sulla via di esserlo, anche e soprattutto da un punto di vista storico-culturale e linguistico - ma che ama l'Europa in sé e vive nel cuore della stessa, e più per necessità che per potersene vantare (o per dirsi - come altri vorrebbe- in geniale esilio); non mira con sdegno un paese né si arruffiana le sue corti per essere dentro o fuori l'Europa; cerca più semplicemente un'altra Europa.
Ed è per questo che ha sentito la necessità di coniugare con una certa, problematica urgenza, la Comune di Parigi e l'Europa della Comunità. Sa bene che corre il rischio di presentare la Commune come proto-europea malgrado sé stessa. Anche se stralciando e valorizzando - a partire dalla loro fermezza (specie se pensiamo al disimpegno facile, codardo, di molti altri scrittori) - certi partecipi appelli e lettere che Victor Hugo (1802-1885) elabora in diretta nei giorni della paura dell'assedio e poi dell'« insurrection parisienne », dove il rapporto tra Parigi, l'Europa e la Commune c'è (« nous écrivons sur notre drapeau : États-Unis d'Europe » ; « Paris veut, peut et doit offrir à la France, à l'Europe, au monde, le patron communal, la cité exemple »), l'autore cerca di intercettare, nei dintorni, tra Occidente e Oriente, tra Ottocento e Novecento, una serie di dettagli testuali che rischiano di fare sistema, come quella Rêverie d'un fédéraliste libertaire, relativa al sogno di un'Europe parallèle (1976) di Denis de Rougemont (1906-1985) che è vicino alle posizioni federaliste di Pierre-JosephProudhon (1809-1865), cioè al punto di vista di uno dei pensatori che hanno maggiormente ispirato la Commune.
E in quel mezzo e in prospettiva, Curreri, da saltimbanco birichino, chiama a raccolta, in chiave interdisciplinare e comparata, tanti altri autori, tra loro più o meno diversi: Agamben, Bachtin, Benjamin, Bensaïd, Boucheron, Cassou, Chabrol, Cioran, Fournier, Harvey, Hazan, Herzen, Hillgruber, Kracauer, Kropotkine, Jiang, Jourde, Lacoste, Laurent, Lavrov, Lefebvre, Lenin, Lidsky, Lordon, Malon, Manara, Marx, Morris, Noël, Oehler, Rieuneau, Ross, Riot-Sarcey, N.
Rosselli, Rougerie, Rude, Tardi, Traverso, Vallès, Vautrin, Watkins, Zoja...