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Qual è il modo migliore per raccontare la storia della propria famiglia? Orly Castel-Bloom non ha dubbi: la memoria deve esplodere, autobiografia e immaginazione devono confondersi. E se il passato è irrequieto, ogni occasione è allora buona per fare un passo indietro: ai tempi di re Ferdinando II e di Isabella la Cattolica, ad esempio, quando « la Spagna vomitò i due grandi nemici del maiale che vivevano nel suo ventre: gli ebrei e i musulmani », costringendo i fratelli Castil a lasciare Torre de Mormojon in Castiglia; o durante la Primavera araba del 2011, quando « l'esercito egiziano aprì il fuoco sui manifestanti sparando proiettili veri ».
Possiamo ritrovarci, senza rendercene conto, tra i giovani militanti sionisti del Cairo che si stanno preparando ad emigrare in Israele, o nel 1952, tra i membri del gruppo egiziano di un kibbutz, a litigare per una valigia « come se fosse stata d'oro e nel mondo non esistesse il socialismo ». La saga dei Castil affiora inaspettatamente da un insieme di memorie autobiografiche, fantasie e racconti.
Una narrazione sovversiva e coinvolgente che si muove tra passato e presente con i ritmi antichi dell'oralità, ma che non lascia mai il lettore spaesato. Romanzo egiziano sembra voler disorientarci di proposito solo per rivelarci che certe storie non conoscono linearità e che, per essere felici di tornare a casa, a volte è necessario perdersi.