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La distruzione di Cartagine, che nel 146 a. C. pose fine alla Terza guerra punica, arrivò al termine di un lungo e complesso dibattito in cui intervennero fattori politici, religiosi e perfino economici. Si trattò infatti di una decisione che non era motivata da un casus belli vero e proprio, come per secoli era avvenuto nei precedenti conflitti, ma rappresentò un'autentica guerra preventiva per rendere del tutto inoffensivo un nemico che per un secolo aveva tentato - quasi riuscendoci - di sopraffare Roma e la sua federazione.
La paura per la rinascita dello storico avversario dell'Urbe era andata a sommarsi, facendoli traboccare, ai timori di attacchi provenienti dalla Grecia e dall'Asia, anche attraverso il Nord della penisola. Alla fine la pressione psicologica ebbe la meglio e indirizzò l'Urbe verso la scelta di eliminare definitivamente una potenza punica ritenuta solo apparentemente inerte. Era nata frattanto, tra l'irrazionale e il provvidenziale, l'idea, raccolta in Polibio, della signoria mondiale di Roma.