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« Non c'è virtù senza fortuna, né fortuna senza virtù », scriveva Machiavelli. Non c'è archein senza prattein, né prattein senza archein, sembra aggiungere Hannah Arendt. Come a dire che l'evento della libertà, sorge all'interno di un contesto plurale di relazioni umane, che ne suscita l'inaspettato erompere e ne ospita la storia, per poi risultarne anch'esso modificato. Facendo eco a Montesquieu, Arendt chiama 'principio' l'elemento capace di muovere all'azione, e lo ha tratteggia come l'oggetto di un amore appassionato e profondo, ponte tra passato e futuro.
Se l'amore è rivolto alla libertà, esso non spinge a ripetere il passato, bensì soltanto a ricordarlo: l'amore per la libertà ripresenta costantemente la promessa insita in ogni inizio, sia quest'ultimo un puer che nasce o una polis che sorge. Qui sta il tesoro della rivoluzione americana, in cui l'intraprendenza dei padri insiste su un'esperienza viva di felicità praticata e diffusa, 'pubblica', e il significato di quella legge fondamentale in cui 'costituzione' politica e 'Costituzione' coincidono.
E qui è racchiuso il senso profetico delle riflessioni che, di fronte al profilarsi di un'ombra cupa su quella Repubblica e sulle sue istituzioni, poteva proporre un'autrice fuggita anni prima dal dominio totalitario.