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Domande all'apparenza semplici quali « come va? » o « da dove vieni? » o « come ti chiami? », se colte nel loro senso più profondo, ci conducono al centro della nostra anima, là dove - ci spiega il filosofo catalano Josep Maria Esquirol nel saggio Umano più umano - siamo toccati da quattro realtà fondamentali con cui abbiamo a che fare per tutta la nostra esistenza: la vita, la morte, il tu e il mondo.
L'incontro con questi « infiniti essenziali » segna una « ferita », un'apertura inesauribile che sottrae a ogni pretesa di autosufficienza e che ci costituisce nella nostra umanità. Imparare a vivere è imparare ad accompagnare queste ferite, non a suturarle. Esse infatti sempre ci sorpassano con il loro eccesso e chiedono la pazienza di continue risposte. Risposte da cercare non nell'oltre postulato dalle odierne tendenze transumanistiche, ma restando dentro questa condizione, intessuta di vulnerabilità e debolezza.
Essa va abitata intensificando e approfondendo l'umano concreto, soprattutto nelle sue dimensioni più comuni e quotidiane. Su questo sfondo il saggio di Esquirol declina un'antropologia originale, nella quale risuonano con un significato denso e inatteso esperienze a tutti note come nascita, promessa, canto, silenzio, parola, gusto, angoscia, amore, stupore, giorno, notte, cielo, terra, tempo, eterno.
Spesso tendiamo a viverle senza apprezzarne il senso e la profondità, ma il loro apparente poco è già molto. È il misterioso e originario prodigio dell'essere venuti alla vita, dove si alimenta e custodisce la speranza, malgrado tutto.