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Una ricognizione sulle avventure mentali di un passato ormai remoto e sul loro quotidiano scontrarsi doloroso e frontale con l'idea di un precipizio assoluto, di un risucchiante nulla infinito ; e poi il riemergere di giovani volti e figure, di minime vicende, salvate, chissa perché, dalla memoria ; e infine il resoconto, condotto con oggettiva esattezza, di un drammatico fatto di cronaca, di un episodio di tenero amore e orribile violenza.
Sono questi i tre momenti essenziali, quanto mai ricchi di situazioni e implicazioni interne, della nuova opera di Milo De Angelis. Un libro di straordinario rigore e coraggio, dove il pensiero della morte, con le sue impietose incursioni, tende un arco ininterrotto tra tempi lontani e presenti, dove la sua acuta invadenza si affaccia, anche "nei traffici dell'amore". Eppure, il personaggio che ne subisce gli attacchi — l'io lirico — che ne viene aggredito, non cessa, neppure per un istante, di resistere, ma cerca ripetutamente di venire a umani patti o opporsi in trattative cón quell'ombra inumana e sinistra che lo perseguita.
Un cimento, dunque, che sulla pagina riesce a tradursi in una testimonianza in continua tensione, e dove una salvezza, sempre sentita come parziale e provvisoria, si realizza grazie a quello strumento formidabile che è la parola nella forma e nel fiato del verso. Ed ecco allora che il poeta riesce ad autodefinirsi, con una saggia pacatezza, antiretorica e duramente conquistata, come "un povero fiore di fiume / che si è aggrappato alla poesia".
Nella seconda sezione, l'indagine si fa meno ossessiva e quanto mai aperta, e vi domina "la dolce /voce umana dei corpi in movimento". Un movimento ormai sostanzialmente negato al protagonista della parte finale di Incontri eaggnati, lui stesso sventurato artefice di una sanguinaria insensatezza, e ormai perduto nel suo inferno, nel "corridoio delle mille anime vaganti", a sua volta in titubante attesa del "sacro appuntamento i dell'ultimo minuto".